martedì 22 febbraio 2011

Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani: indagine sul concetto di nazione

L’unificazione nazionale era un destino obbligato nel 1860? Se guardiamo alla storia mondiale, le nazioni nell’800 erano la forma politica che si era imposta in maniera ineluttabile: tanti luoghi sono diventati nazione tra ‘800 e ‘900. Le radici di questo fenomeno vanno ritrovate nella rivoluzione francese, che ha posto in essere degli elementi inediti: la nazione è lo spazio sovrano del popolo che lo abita ed è un aggregato territoriale caratterizzato dal governo della sua popolazione tramite istituzioni. Inoltre, la nazione è una comunità che si autogoverna in modo autonomo da qualsiasi tipo di pressione esterna.

Prima del 1860, alcune parti della penisola erano soggette al dominio straniero, ma questo non è stato l’unico motivo che ha messo in moto l’unificazione, in quanto vi erano parti di essa non governate da dinastie straniere, quali i territori dei Savoia e dei Borboni di Napoli (perché ormai da tempo perfettamente inseriti nella cultura locale), per cui l’idea della “cacciata dello straniero” era solamente uno degli elementi che avevano portato alla spinta Risorgimentale.

L’altro elemento fondante era il tema dell’autogoverno della comunità e il discorso sulla democrazia, la sottrazione rispetto agli arbitri del re, la sovranità dei cittadini, per cui questi posseggono le chiavi del governo e il potere legislativo.

Tuttavia, non bisogna considerare l’800 come il secolo che ha applicato pedissequamente i dettami della Rivoluzione Francese, dal momento che, in seguito alla Restaurazione, buona parte dell’Europa era tornata ad essere retta da governi di tipo autoritario e dispotico, stile Ancièn Régime: non erano previste elezioni, e le forme di rappresentanza del territorio erano di tipo tradizionale, non solo nei territori dove era presente una dominazione straniera.

Se da una parte vi erano molti movimenti che spingevano verso la liberazione nazionale, dall’altra numerosi stati pre-unitari seguivano una linea piuttosto reazionaria, venendosi a creare una sorta di dialettica continua fra policentrismo e unificazione, in quanto la dimensione regionale, campanilista, era ritenuta soddisfacente. La dimensione policentrica costituiva un elemento forte sia prima che dopo l’unificazione, a causa dell’eredità municipalista della storia pre-unitaria.

Il contrasto tra ideali liberali e ideali democratici, scaturiti dalla Rivoluzione Francese, si manifestava anche in Italia all’epoca della sua unificazione: pochi italiani vengono ammessi al voto rispetto alla comunità immaginata dal Risorgimento. Il compromesso tra liberalismo e democrazia sta proprio nel 2% della popolazione avente diritto alla partecipazione politica: secondo le leggi applicative dello Statuto Albertino, solo chi ha un certo reddito o un determinato livello di cultura ha diritto al voto, equivalente al 7% dei maschi adulti (a partire da 25 anni di età).

Tale ristrettezza del diritto elettorale può essere spiegata dall’alto tasso di analfabetismo (ricordiamo che l’80% della popolazione italiana ottocentesca era rurale), terreno fertile per mediatori “politici” avversi alla causa unitaria, quali i parroci. Risultava quindi conveniente attuare una sorta di autodifesa preventiva: dare le chiavi politiche in mano a pochi dato che, essendo la maggior parte della popolazione sotto l’influenza del clero, il suffragio universale sarebbe stato un pericolo.

Si viene così a delineare uno iato tra i principi enunciati e la realtà concreta: l’unificazione nazionale rappresenta un momento paradigmatico tra una retorica risorgimentale di partenza (gli italiani padroni della nazione, la cacciata degli oppressori, i plebisciti, ecc..) e un’effettività pratica molto modesta a posteriori, che crea una sorta di “vuoto sotto la nazione”, da cui la crisi e il mito del Risorgimento.

Perché si fa l’Italia?

La causa che spinge verso l’unificazione, più che il bisogno stringente di creare un mercato nazionale unificato, va ricercata nell’idea diffusa nell’Europa dell’epoca che gli esseri umani, per potersi presentare in maniera dignitosa nel contesto internazionale, dovevano darsi la forma di nazione: un paese, o era una nazione, o non poteva contare nulla. Se l’Italia non fosse diventata nazione, ciascuna parte da sola avrebbe prodotto molto meno; l’unificazione era inevitabile per garantirle un ruolo all’interno dello scacchiere internazionale.

Fin dal ‘200 il territorio italiano presentava un tessuto sociale urbano molto forte, un’alta concentrazione di città e municipalità sovrane, spesso in contrasto tra loro. Di conseguenza il livello di affezione della popolazione rispetto alla propria dimensione locale è sempre stato molto elevato. L’inevitabile unificazione del paese ha portato ad una difficile integrazione di tanti parti disunite, che ha avuto rilevanti conseguenze sulla coesione civica, sul senso delle istituzioni e dello Stato in Italia: alcune scelte del 1860 hanno avuto effetti di lunga durata fino ad oggi.

PRESO DA: http://www.meridianionline.org/2010/11/26/fatta-italia-bisogna-italiani-indagine-concetto-nazione/

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